
Lorenzo Maria Pacini
Secondo i vertici militari statunitensi, le forze armate americane potrebbero non avere tempo sufficiente per dedicarsi a simulazioni di guerra "in stile cinese".
Contrastare le Operazioni Cinesi nella Gray Zone
Gli Stati Uniti sono ben consapevoli che la Cina, seppur sia una potenza essenzialmente tellurocratica, è però altamente specializzata e presente nei mari, in particolare nella dimensione marittima prossimale del Mar Cinese e nell'Oceano Pacifico, con una presenza rilevante a livello strategico.
Volendo contrastare la presenza cinese, gli USA effettuano continuamente delle Freedom of Navigation Operations (FONOPs) all'interno del più ampio programma, al fine di riaffermare i diritti di navigazione e di sorvolo in ogni area del globo. Istituito originariamente nel 1979, il programma combina strumenti sia diplomatici, sia operativi, volti a tutelare la legalità del commercio marittimo e garantire la mobilità globale delle forze statunitensi, con particolare riferimento al Mar Cinese Meridionale. Pur non costituendo di per sé una strategia specificamente concepita per contrastare le attività nella gray zone, numerosi analisti e interlocutori intervistati sottolineano la centralità del programma nel rispondere alla strategia cinese, che si fonda su una diversa affermazione ed interpretazione dei diritti marittimi in quell'area, che è, lo ricordiamo, geograficamente prossima alla Cina continentale, mentre si trova dall'altro lato del globo per l'America.
Dal punto di vista americano, le libertà di navigazione sono assimilabili al "diritto di precedenza" nel common law inglese e rimangono valide fintantoché i naviganti le esercitano attivamente. Se tali diritti cessano di essere utilizzati, possono progressivamente decadere, con una conseguente "restituzione della titolarità" all'autorità del territorio costiero. Ogni anno, gli Stati Uniti diffondono un rapporto ufficiale che identifica gli Stati responsabili di rivendicazioni marittime eccessive e contro i quali la Marina statunitense ha effettuato operazioni di passaggio a tutela della libertà di navigazione. Sebbene tali rapporti specifichino le aree marittime interessate, non rendono pubblica la frequenza delle singole operazioni.
Nel 2022 - ultimo anno per il quale i dati sono disponibili - Washington ha condotto FONOPs contro 22 differenti rivendicazioni eccessive avanzate da 15 Stati. Un'istanza FOIA presentata dal Congressional Research Service ha rivelato che, tra il 2017 e il 2020, la Marina statunitense ha realizzato complessivamente 54 FONOPs per contestare le rivendicazioni cinesi nel Mar Cinese Meridionale e nello Stretto di Taiwan. In quel periodo, il numero di operazioni è aumentato rispettivamente da sei a otto nel Mar Cinese Meridionale e da tre a tredici nello Stretto di Taiwan (non sono invece disponibili per la consultazione pubblica i dati relativi al triennio 2021-2023). Generalmente, gli Stati Uniti non annunciano ogni singola operazione e la maggior parte delle FONOPs avviene senza comunicati stampa. Ciononostante, Washington ha scelto talvolta di dare visibilità ad alcune operazioni condotte contro rivendicazioni marittime cinesi ritenute illegittime, spesso dopo critiche pubbliche da parte delle autorità di Pechino.
Controinsurrezione Marittima
Così facendo, gli Stati Uniti hanno cercano di contrastare le operazioni cinesi attraverso forme più sostenute di presenza marittima, usando la giustificazione della "difesa" dei partner nella regione. L'episodio più rilevante è il cosiddetto "incidente della West Capella", quando unità della China Coast Guard (CCG) e della People's Armed Forces Maritime Militia (PAFMM) molestarono la nave da perforazione West Capella, operante all'interno della Zona Economica Esclusiva malese tra la fine del 2019 e l'inizio del 2020. In risposta, nell'aprile 2020 gli Stati Uniti inviarono la nave d'assalto anfibia USS America e due unità di scorta dello strike group della 7ª Flotta. La USS America rimase nell'area diversi giorni, seguita dalle Littoral Combat Ships Gabrielle Giffords e Montgomery, impegnate in pattugliamenti per alcune settimane. L'operazione fu accompagnata da dichiarazioni pubbliche dei comandanti della Pacific Fleet, della 7ª Flotta e della Task Force 76, che riaffermarono il diritto della Malesia a esplorare le risorse naturali entro la propria ZEE. La pressione cinese cessò e Kuala Lumpur poté proseguire nelle attività di perforazione senza ulteriori interferenze. L'episodio è stato considerato un successo operativo e politico, tanto da essere descritto dal Segretario della Marina Carlos Del Toro come un "prototipo straordinario" di un nuovo approccio volto a sostenere i partner regionali di fronte alla "insurrezione marittima coercitiva" della Cina nel Mar Cinese Meridionale. L'operazione è stata associata a sviluppi successivi quali un'esercitazione navale di ampia portata condotta dall'Indonesia, l'avvio da parte delle Filippine di un arbitrato marittimo contro la Cina e la decisione della Malesia di contestare formalmente le rivendicazioni cinesi presso le Nazioni Unite.
Siamo davanti ad un esempio di attività nella grey zone, in perfetto stile. La rilevanza di tale evento non è tanto quello strettamente operativo, laddove si tratta di un caso singolo in mezzo a molti altri, bensì la rilevanza mediatica che gli USA hanno adoperato, facendo passare l'accaduto come un successo internazionale. Un anno prima, lo stratega marittimo Hunter Stires aveva pubblicato un saggio che proponeva un'applicazione della teoria COIN (counterinsurgency) alle operazioni cinesi nella gray zone. A suo avviso, la Cina conduce una sorta di "insurrezione politica" per affermare la propria giurisdizione di fatto sulle acque rivendicate, analogamente alle dinamiche di controllo territoriale tipiche dei conflitti di guerriglia. A differenza delle FONOPs, che Stires paragona alle operazioni di "search and destroy" della Guerra del Vietnam - temporaneamente efficaci ma incapaci di impedire alla controparte di rioccupare lo spazio - la strategia COIN suggerirebbe una presenza continuativa e integrata accanto alle forze locali, sul modello del Combined Action Program dei Marines in Vietnam. È interessante notare che, dopo l'incidente della West Capella, Washington ha continuato a sostenere direttamente alcune operazioni marittime di partner regionali, sebbene in maniera limitata.
Non è così facile
La verità è che i FONOPs e i sorvoli sono strumenti utili per contrastare le operazioni cinesi nella gray zone, ma risultano largamente insufficienti se considerati isolatamente, poiché tutelano principalmente i diritti delle navi militari straniere, senza offrire un sostanziale beneficio agli Stati del Sud-Est asiatico, i quali subiscono una progressiva erosione dei propri diritti economici e sovrani nelle acque regionali.
Ecco perché l'infowarfare statunitense è più importante, in questa fase storica e nella azione della zona grigia, rispetto alle operazioni convenzionali. Soprattutto nella attuale presidenza Trump, l'impatto psicologico e informativo sono indispensabili precursori dell'attività convenzionale. Di fatto, gli Stati Uniti non hanno replicato direttamente tale modello in episodi successivi di tensione nella gray zone, sebbene il concetto di controinsurrezione marittima sia stato oggetto di esercitazioni e simulazioni nel contesto del Pentagono. Tuttavia, il rinnovato orientamento della strategia di sicurezza nazionale statunitense verso la competizione tra grandi potenze - con un'enfasi sulla preparazione a un conflitto ad alta intensità contro la Cina - può influire negativamente sull'adozione del paradigma COIN, anche alla luce dei precedenti insuccessi statunitensi in Afghanistan, Iraq e Vietnam.
Persistono inoltre diverse criticità legate all'adozione di un approccio COIN marittimo. Anzitutto, ci sono problemi di politica regionale: i Paesi del Sud-Est asiatico devono essere disponibili e capaci di partecipare a simili iniziative. In secondo luogo, bisogna valutare la percezione del ruolo politico degli Stati Uniti, laddove alcuni governi, come quello filippino, desiderano guidare autonomamente le proprie strategie contro la coercizione cinese, spingendo Washington a mantenere un profilo discreto. E da ultimo, ma non per minore importanza, il rischio di una escalation: una presenza marittima integrata aumenterebbe la probabilità di incidenti tra unità statunitensi e navi cinesi. Inoltre, qualora navi dei partner regionali operative con il sostegno statunitense fossero colpite o danneggiate, sorgerebbe la questione del livello di protezione che gli Stati Uniti sarebbero tenuti a garantire, con potenziali scenari di escalation non intenzionale.
Le preoccupazioni relative a un possibile conflitto diretto (e convenzionale) con la Cina costituiscono inoltre un ulteriore ostacolo: Taiwan. L'isola, secondo gli analisti militari americani, sarà "invasa entro il 2027". Ciò spinge il comando statunitense a privilegiare linee operative volte a garantire la capacità di combattere all'interno della first island chain, attraverso superiorità informativa e capacità cinetiche avanzate. Pur includendo il contrasto alle attività di gray zone, la strategia complessiva resta orientata principalmente alla deterrenza e alla preparazione a un conflitto armato.
Da parte sua, la Cina porta avanti una strategia "a doppio binario", preparando da un lato la possibilità di un conflitto e, dall'altro, perseguendo attivamente l'obiettivo di "vincere senza combattere" mediante il consolidamento progressivo del controllo marittimo.
Stando alle loro previsioni, gli ufficiali in comando delle forze armate americane non avranno sufficiente tempo per il wargaming "in salsa cinese".