
Lorenzo Maria Pacini
L'Eurasia va avanti, con o senza l'Occidente
L'Eurasia va avanti, con o senza l'Occidente
Si respira aria di cambiamento alla III Minsk International Conference of Eurasia Security, svoltasi nei giorni 28 e 29 ottobre 2025 nella capitale della Repubblica di Bielorussia. Un evento fondamentale per definire le rotte strategiche della sicurezza continentale, come anche per dettare la linea della dottrina condivisa che i Paesi eurasiatici stanno sviluppando per la costruzione di un futuro condiviso, prospero e di successo.
L'evento è stato inaugurato con una poderosa cerimonia, presieduta a sorpresa dal Presidente Alexander Lukashenko. Il suo discorso, dettagliato e molto sentito dai partecipanti, si è incentrato sulla definizione di un "noi", inteso come Paesi dell'Eurasia multipolare, espressione che è stata ripetuta più volte con molto vigore.
La Conferenza rappresenta, infatti, un passo in avanti determinante e senza ritorno da quel mondo caratterizzato da alcuni elementi che Lukashenko ha sottolineato con forza: l'egemonia del dollaro, che ormai è un miraggio ed un ricordo del passato; la logica della guerra-senza-fine, a cui l'Eurasia non vuole partecipare; il vecchio ordine basato sulle regole, che si è dimostrato fallimentare e non ha più motivo di essere sostenuto da nessuno. Il "vecchio mondo", in effetti, non ha più niente da offrire.
Quello che invece l'Eurasia ha davanti è molto più interessante e profittevole. Il primo punto è la costruzione di un sistema-senza-conflitti, ovvero l'esigenza di trasformare le relazioni internazionali fino ad oggi fondate su un modello di deterrenza militare ad un modello di cooperazione integrata sufficientemente forte e stabile da non dover ricorrere a nessuna forma di minaccia, deterrenza e soft power strategico. Questa cooperazione pacifica è essenziale, ha detto Lukashenko, perché senza la Pace a fondamento dei rapporti, non sarà possibile avere nessun tipo di futuro, laddove l'Occidente collettivo minaccia la pace globale in nome di una finta pace che è, in verità, il tentativo disperato di mantenere la propria decadente egemonia come modello dominante.
Importante è anche il rafforzamento della collaborazione in termini di tecnologie e di risorse. Lukashenko ha specificato, facendo alcuni esempi di successo degli ultimi tre anni, che l'Eurasia è storicamente cresciuta sempre grazie alla mescolanza e allo scambio di tecnologie e risorse, laddove la tecnologia è vettore dello sviluppo collettivo. Ci sono zone eurasiatiche che abbisognano di un sostegno congiunto e ciò è doveroso per consolidare la stabilità di tutti i partner, non solo dei singoli Paesi impegnati. Questa logica di unità permette di condurre uno sviluppo protetto e garantito.
D'altronde, come ha detto Lukashenko, l'Eurasia è ormai la maggioranza globale, sia in termini di GDP che di demografia, e con il Global South stiamo parlando anche della maggioranza numerica degli Stati esistenti. Ciò significa che l'Occidente, adesso, deve essere guardato non più come quella parte di mondo a cui rivolgersi per mendicare qualcosa che manca, bensì è l'opposto: oggi, l'Eurasia è trendsetter e guida lo sviluppo globale in termini di politica, economia, sicurezza, scienza e tecnologia. Prendere consapevolezza di questo è fondamentale per non ripetere gli errori del passato, che spesso, come ha ribadito il Presidente bielorusso, sono ancora presenti ai confini dell'Europa, dove alcuni Paesi eurasiatici guardano all'Europa aspettandosi qualcosa da essa. Qui sta uno degli errori più grandi: l'Occidente non ha più niente da offrire o, meglio, l'Occidente continua a dimostrare di non avere più realmente niente. Gli USA, ad esempio, hanno portato avanti molte promesse, spendendo fiumi di parole che però non sono state seguite da fatti concreti. Mancando i fatti, l'Occidente ha squalificato se stesso.
In termini di flussi migratori, Lukashenko ha osservato che molti media occidentali stanno attaccando Bielorussia, Russia e altri Paesi eurasiatici, cercando di confondere la comprensione della realtà. Il punto è che l'immigrazione è un fenomeno padronale, quindi bisogna guardare chi sono i "padroni" ed essi si trovano esattamente in Occidente, quell'Occidente che per secoli ha deportato, segregato, sterminato e che ha fatto della retorica ideologia dell'immigrazione una parte centrale del proprio globalismo, e di cui ora paga le conseguenze. L'immigrazione è diventata uno strumento di potere per destabilizzare interi Paesi. La gestione migratoria eurasiatica, invece, prevede una integrazione culturale ed un temporaneità che viene definita dai piani politici, non una immigrazione incontrollata e culturalmente conflittuale. Ecco la differenza centrale.
In materia strategica, Lukashenko ha con molta forza ribadito che l'Occidente sta continuando ad esercitare pressioni sui confini, ma questa è una pratica che avviene da decenni, non certo dall'inizio della SMO russa. Quello che è certo è che nessuno dei Paesi eurasiatici vuole la guerra, preferendo il dialogo e la razionalità alla arroganza e prepotenza degli occidentali. Lo stesso conflitto in Ucraina è la dimostrazione della sordità e cecità degli occidentali, che hanno fatto fallire gli accordi di Minsk 1 e Minsk 2, dimostrando di essere dalla parte del torto e promuovendo, ora, una aggressività verso tutto l'Est. La guerra non garantisce niente di buono, ha ribadito Lukashenko, né per chi la fa, né per chi la subisce, e non farà certamente ottenere alcun successo ai Paesi occidentali.
La guerra europea è vicina
La guerra della UE contro la Russia è una realtà, non è immaginazione. Questo è stato il centro delle parole spese dal Ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov, secondo grande oratore del forum.
La distanza fra "noi" e "loro" si è fatta così forte da non lasciare quasi più spazi di dialogo formale e questo ci fa capire come l'Occidente sia il diavolo e la Russia voglia, con tutta l'Eurasia, combattere queste potenze demoniache. Il ruolo dell'Eurasia, ha detto Lavrov, è quello di garantire la stabilità globale e quella di cambiare l'ordine delle cose, facendo sì che il sistema occidentale venga neutralizzato e non possa più destabilizzare il mondo intero per i propri interessi.
Ecco che ha proposto di ragionare in termini di non-model block, lasciando da parte,a concezione dei blocchi adottata nella fase iniziale del multipolarismo contemporaneo ed evolvendosi verso la definizione dei "poli" come entità autonome, indipendenti, interattive e inserite in una rete multi-nodale di cooperazione che ha definito la Great Eurasian Cooperation, un modello che è storicamente fondato e già sperimentato a lungo e che ha prodotto, come primo evidente risultato, la attuale realtà dell'Eurasia come forma multipolare esistente ed operante, anzi quella in cui è nata la stessa teorizzazione della multipolarità.
Le nuove leadership continentali, quindi, dovranno considerare non solo la propria autonomia individuale, ma anche la interazione dei nuovi Stati-civiltà e la loro coesione come una necessità per il bene comune del mondo intero. L'Occidente, ha spiegato Lavrov, non ha offerto niente di buono al mondo se non che il proprio imperialismo e l'imposizione di modelli culturali, di valute squilibrate e di valori malsani che sono diventati lo stesso veleno dell'Occidente. Ora che l'Oriente sta sorgendo e sta mettendo insieme, in amicizia, tutto il mondo, è chiaro che l'intero modo di comprendere il mondo debba cambiare. Ed è questo il momento.
Simili affermazioni sono pervenute anche dagli altri illustri relatori della sessione plenaria: il ministro degli Esteri ungherese Peter Szijjarto, il ministro degli esteri della Corea del Nord Choe Son-hui, il ministro degli esteri del Myanmar U Than Swe, il rappresentate speciale per gli affari eurasiatici della Cina Sun Linjiang, il segretario generale della CSTo Imangali Tasmagambetov, il segretario generale della SCO Nurlan Yermekbayev, il segretario generale della CICA Kairat Sarybay, il viceministro degli esteri dell'Iran Saeed Khatibzadeh, il segretario del ministero degli esteri dell'India Sibi George, il viceministro degli esteri del Tajikistan Farrukh Sharifzoda, il vicesegretario generale della CSI Nurlan Seytimov, l'illustre economista Sergej Galzyev, il presidente della Repubblica Serpska Mihorad Dodik, il direttore del Center for Foreign Policy Studies and International Initiatives del Ministero degli Esteri dell'Uzbekistan Sanjar Valiev.
Tutti sono stati concordi nel sottolineare che la sicurezza militare è una prerogativa contingente, ma non un deve diventare la ragione per cui viene attuata l'integrazione eurasiatica: essa deve avvenire come conseguenza naturale di una millenaria prossimità e interazione fra popoli e culture, che finalmente trova motivo di rendersi politica - e geopolitica - in un mondo sempre più multipolare.