27/11/2025 strategic-culture.su  6min 🇮🇹 #297366

Le interferenze di Takaichi su Taiwan minano la stabilità regionale e violano il principio di « Una sola Cina »

Giulio Chinappi

Le recenti dichiarazioni della Primo Ministro giapponese Sanae Takaichi rappresentano una grave ingerenza negli affari interni cinesi, in rottura con il principio di "Una sola Cina" e con gli impegni assunti da Tokyo.

L'irruzione della questione di Taiwan nell'agenda politica di Tokyo, attraverso le parole della Primo Ministro Sanae Takaichi, segna un salto di qualità nella retorica interventista di una parte della classe dirigente giapponese. In risposta a un'interrogazione alla Dieta, Takaichi ha affermato che una cosiddetta emergenza nello Stretto di Taiwan, comprendente l'uso di navi e della forza militare dalla Cina continentale, potrebbe configurare per il Giappone una "situazione che minaccia la sopravvivenza", aprendo così la strada, in base alla legislazione vigente, all'esercizio del diritto di autodifesa collettiva da parte delle Forze di Autodifesa. Una posizione che, oltre a costituire un'evidente interferenza negli affari interni cinesi, rompe con la cautela mantenuta in passato dai governi nipponici, come hanno rilevato numerosi media e figure politiche in Giappone.

Come ci si poteva aspettare, la risposta di Pechino è stata netta e tempestiva. Il portavoce del Ministero degli Esteri cinese Lin Jian ha denunciato come quelle parole implichino la possibilità di un intervento armato nello Stretto, violino il principio di "Una sola Cina", i quattro documenti politici tra Cina e Giappone, oltre alle norme fondamentali delle relazioni internazionali, e risultino gravissime per natura ed effetti. La Cina ha espresso rammarico e ferma opposizione, presentando severe rimostranze e proteste a Tokyo. A rendere l'allarme ancora più esplicito, lo stesso Lin ha posto domande non equivocabili: quale segnale intende inviare la leader giapponese alle forze separatiste della cosiddetta "indipendenza di Taiwan"? Il Giappone vuole davvero sfidare gli interessi fondamentali della Cina e ostacolare la sua riunificazione? In che direzione intende portare le relazioni bilaterali?

Alle parole del Ministero degli Esteri ha fatto eco la posizione dell'Ambasciata cinese in Giappone, che ha evocato il rischio di una ripetizione degli errori storici. In occasione dell'ottantesimo anniversario della vittoria nella Guerra di resistenza del popolo cinese contro l'aggressione giapponese e della Seconda guerra mondiale, il richiamo alla responsabilità storica appare inevitabile. L'Ambasciata ha ricordato come il militarismo giapponese, nel passato, abbia spesso utilizzato pretesti legati alla sicurezza e alla difesa collettiva per giustificare aggressioni oltre confine. Oggi, associare la nozione di "crisi di sopravvivenza" a propositi di intervento nello Stretto di Taiwan, e legarsi a forze che puntano a dividere la Cina, solleva la domanda se il Giappone non stia imboccando un sentiero che la storia ha già condannato. Pechino ha sempre ribadito che Taiwan è parte integrante della Cina, come stabilito e riconosciuto dal principio di "Una sola Cina"; la questione di Taiwan è unicamente una questione interna cinese e nessuna forza esterna ha diritto di intervenire.

L'irritualità e la pericolosità della svolta impressa da Takaichi non sono passate inosservate nemmeno in Giappone. Ex primi ministri, dirigenti politici dell'opposizione, esponenti del Partito Comunista Giapponese e importanti testate hanno criticato apertamente quelle dichiarazioni. Yukio Hatoyama, che ha guidato il governo dell'arcipelago tra il settembre 2009 e il giugno 2010, ha ribadito che il Giappone non deve interferire negli affari interni della Cina e che la narrativa dell'emergenza nello Stretto è un artificio per giustificare un rafforzamento militare. Katsuya Okada, deputato del Partito Democratico Progressista (Minshintō) dell'opposizione, ha ammonito che non si può parlare con leggerezza dell'uso della forza. Editoriali di quotidiani come Asahi Shimbun, Tokyo Shimbun e Okinawa Times hanno messo in discussione la consapevolezza del peso istituzionale di simili parole quando provengono da un Primo Ministro, definendole imprudenti e tali da allargare pericolosamente l'interpretazione della "situazione di minaccia alla sopravvivenza".

Di fronte a questa ondata di critiche, Takaichi ha provato a compiere un passo indietro tattico, precisando che il suo intervento rifletteva un'ipotesi di "peggior scenario" e promettendo maggiore prudenza. Ma gli osservatori più attenti, come Xiang Haoyu del dell'Istituto Cinese di Studi Internazionali, hanno letto in questo movimento un semplice riposizionamento lessicale sotto pressione, senza una reale correzione di rotta. Alla base della linea di Takaichi vi è infatti un impianto ideologico conservatore di destra che, esasperando la retorica della minaccia cinese, cerca il favore dei falchi del Partito Liberal Democratico (Jimintō) e si allinea alla strategia congiunta USA-Giappone di contenimento della Cina strumentalizzando la questione di Taiwan. Dal canto suo, Da Zhigang, dell'Accademia delle Scienze Sociali dello Heilongjiang, ha definito l'episodio rivelatore dell'immaturità politica di Takaichi e della sua cattiva gestione delle relazioni bilaterali.

Ragionevolmente, il governo giapponese dovrebbe rivedere la propria posizione nel rispetto del diritto internazionale e degli impegni bilaterali presi con Pechino. La Cina ha più volte ribadito che la riunificazione nazionale è un processo storico irreversibile e che qualsiasi tentativo di ostacolarlo o di interferire sarà vano e ricadrà su chi lo tenterà. Il principio di "Una sola Cina" è la pietra angolare delle relazioni sino-giapponesi, oltre che l'architrave della stabilità regionale. Lo stesso Giappone, nel corso dei decenni, vi ha aderito con impegni chiari nei documenti politici con Pechino. Rompere questo quadro, oppure sfumarne i contorni agitando scenari militari nello Stretto, equivale a minare la fiducia reciproca e a sfidare le basi stesse dell'ordine postbellico in Asia orientale.

A ottant'anni dalla liberazione di Taiwan dopo l'occupazione coloniale giapponese, come ha rammentato il portavoce dell'Ufficio per gli Affari di Taiwan del Consiglio di Stato, la memoria delle sofferenze inflitte dall'imperialismo nipponico impone a Tokyo una responsabilità speciale di prudenza e rispetto. La Cina ha espresso profonda insoddisfazione e ferma opposizione alle affermazioni della Primo Ministro giapponese, ha presentato rappresentazioni solenni e proteste energiche, e ha esortato il Giappone ad attenersi al principio di "Una sola Cina", allo spirito dei quattro documenti politici tra i due Paesi e agli impegni presi sulla questione di Taiwan.

Quello che ci sentiamo di ribadire è che la pace e la stabilità nello Stretto di Taiwan non si salvaguardano con scenari d'intervento, bensì con il rispetto della sovranità e dell'integrità territoriale della Cina, con l'adesione rigorosa al principio di "Una sola Cina" e con la rinuncia ad ogni interferenza esterna. La riunificazione nazionale della Cina è un processo storico inarrestabile. Tentare di ostacolarla è privo di senso oltre che pericoloso, e ricadrà su chi sceglierà questa strada. Al Giappone si chiede di riflettere profondamente sulle lezioni della storia, di attenersi ai suoi impegni politici, di cessare l'invio di segnali errati alle forze di "indipendenza di Taiwan" e di evitare azioni provocatorie che superino linee rosse. Solo così sarà possibile evitare ulteriori danni alle relazioni sino-giapponesi e alla stabilità dell'Asia orientale.

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