28/11/2025 strategic-culture.su  8min 🇮🇹 #297463

I colloqui di pace in Ucraina come parte della strategia geopolitica

Daniele Lanza

Un nuovo "grande gioco" tra occidente e oriente: l'intuizione di Donald Trump e la Russia come fulcro della contesa globale tra Stati Uniti e Cina nel secolo in corso.

La grande sfida che si gioca alla vigilia di questo fine secolo inizia a delinarsi più chiaramente, nel corso delle trattative che potrebbero condurre alla fine del conflitto in Ucraina: i differenti piani di pace che emergono - quello americano e quello europeo - lasciano intravedere il differente livello di comprensione del mondo a venire. In parole più chiare, Donald Trump si è reso conto di aver bisogno della Russia per i tempi a venire, fatto questo che tuttavia sconvolge completamente il trend corrente in campo occidentale, teso invece al confronto ad oltranza, senza alternative.

La diffusione - avvenuta la settimana scorsa - del piano di pace in 28 punti redatto dall'amministrazione americana (in particolare per opera delle consultazioni Wikoff-Dmitrev), ha suscitato clamore mediatico immediato, innescando l'usuale reazione europea (i "volenterosi" in primo luogo) che si è immediatamente messa all'opera per emendarlo a svanataggio degli interessi di Mosca e quindi potenzialmente comprometterne gli esiti. Si assiste in parole povere ad una decisa dissonanza di intenti e finalità nell'ambito euro-americano: da un lato il presidente degli Stati Uniti cerca apertamente un accomodamento con la Federazione Russa che risolva sul lungo termine tutti i punti di conflitto mentre il resto dell'Alleanza Atlantica rema ostinatamente in direzione opposta. La ragione profonda di tale divergenza va osservata ed analizzata con estrema attenzione perchè in essa si colloca una chiave di lettura degli sviluppi di lunghissimo termine delle relazioni internazionali odierne su scala mondiale.

Il fatto è che Donald Trump si è reso conto della dinamica - di proporzioni macroscopiche - messasi in moto negli ultimi 4 anni di conflitto: Mosca, ritrovandosi alle strette contro l'enorme regime di sanzioni messo in atto da massima parte del mondo industrializzato, si è rivolta all'altra parte ossia ai propri alleati del Brics e, di rimando, a tutto il sud globale innescando un discorso di indipendenza economica rispetto all'occidente. Ha quindi preso velocemente vita un vasto processo di collaborazione e integrazione economica tra paesi estranei all'occidente come mai era accaduto prima: una primissima conseguenza il processo graduale di de-dollarizzazione negli scambi commerciali che rischia di mettere in serio pericolo il primato assoluto della valuta statunitense come mezzo universale delle transazioni internazionali, un privilegio che detiene sin dal termine del secondo conflitto mondiale.

Per sintetizzare un lungo discorso si può dire che il confronto diretto tra Russia ed occidente in Europa, ha messo in moto e accelerato un ancor più vasto processo di polarizzazione tra economie emergenti e non (o tra nord e sud del mondo se vogliamo): un trend inesorabile di lungo corso - ormai cavalcato dalla Cina - che mette fine al contesto economico unipolare a guida statunitense che si è visto dalla fine della guerra fredda ad oggi. In pratica le vibrazioni che nascono dalla collisione in est Europa tra Mosca e l'asse euro atlantico, stanno determinando a loro volta a un rimodellamento globale dei rapporti di forza che vedono in ascesa inarrestabile il gigante cinese che assieme alla Russia alleata da vita ad un binomio dominante in tutto lo spazio euroasiatico.

La partnership sino-russa è quindi il cuore di tutto: ricompostasi nell'ultimo ventennio una frattura di lunga data (che durava sin dallo strappo sino-sovietico di fine anni 60) sul fronte opposto è venuto a concretizzarsi il timore più grande che una qualsiasi amministrazione di Washington potesse mai immaginare ossia due superpotenze che combinate (sul piano economico e nucleare) tengono testa agli Stati Uniti stessi. Un blocco di potere formidabile, senza precedenti nella storia recente, contro il quale Europa e America non hanno risposte da opporre, rischiando quindi di rimanere immobilizzate e vedersi eroso progressivamente il vantaggio economico cumulato in secoli di storia. La presente congiuntura politico militare correlata all'Ucraina ha enormemente velocizzato tale sviluppo: la Russia, scollata economicamente dall'occidente a causa del regime sanzionatorio è andata giocoforza a saldarsi alla Cina in ogni senso. Donald Trump ha intuito tutto questo: ha compreso la tendenza che andrà sviluppandosi nella generazione a venire (tra Mosca e Pechino, come nel resto del mondo emergente) e tenta quindi di andare ai ripari, cercando di allontanare o indebolire il legame che si è venuto ad instaurare tra i suoi due rivali prima che sia tardi. Il presidente americano è consapevole che la grande sfida degli Stati Uniti nel XXI secolo è contro la Cina ed è consapevole che quest'ultima traverso l'alleanza con la Russia ha dalla propria parte una vasto corridoio trascontinentale di illimitate risorse: non potendo oggettivamente spezzare il livello di partnership sino-russa ormai assestatosi, la strategia che persegue pertanto è quella di limitarne le conseguenze perlomeno, attenuarne il danno tramite un buon rapporto di vicinato con almeno uno dei due. In termini pratici Trump vuole normalizzare il rapporto con Mosca, nel contesto di un equilibrio stabilito che sia accettabile da entrambe le parti, con la speranza di riavvicinarvisi ed evitare l'esito peggiore (ossia un blocco euroasiatico sino-russo pressochè impentrabile per i molti anni a venire).

Un riavvicinamento USA-Russia è indispensabile - nella logica di Trump - per riequilibrare gli effetti della locomotiva sino-russa o quantomeno per attutirne l'urto: la speranza, quella di inserirsi "amichevolmente" tra Mosca e Pechino in modo da non ritrovarsi da soli a fronteggiare un intero continente un giorno. Questa logica geopolitica - scaltra - tipica delle grandi potenze, è invece mal recepita in Europa: i leader europei (in testa la coalizione dei volenterosi), si dimostrano ancora impreparati a pensare in termini di respiro più ampio, tuttora ferreamente ancorati ad una più infantile visione "legalista" dei rapporti internazionali. In pratica fermi ad una difesa massimalista del concetto di diritto internazionale (violato più volte dal medesimo occidente negli ultimi decenni) e da un'impostazione etica che vede ancora il presupposto della superiorità morale dell'occidente, si ottundono nel sostenere il confronto armato in Ucraina, seppure al prezzo della vita di migliaia di uomini. Un accanimento - con scarso senso logico ormai - contro la potenza considerata nemica (la Russia) su uno specifico fronte, dimenticandosi così il quadro complessivo nella sua totalità: una ristrettezza di prospettiva che danneggia la stessa Europa anzichè farne gli interessi.

Da tale divergenza di prospettive - una di più ampio respiro e l'altra decisamente inadeguata al mondo corrente - è alla base dei differenti piani di pace che hanno visto la luce nel corso dell'ultima decina di giorni: i 28 punti presentati dall'amministrazione di Donald Trump rappresentano il proposito di un processo di normalizzazione e riavvicinamento che il presidente americano sente essere nell'interesse del proprio paese in ottica futura - onde evitare una collisione totale col blocco sino-russo - mentre la controproposta europea in 24 punti (presto messa da parte) e il successivo emendare la bozza americana fino a portarla a 19 punti (comunque non accettabili per Mosca), riflette al contrario il desiderio di portare il confronto all'estremo, senza tener conto delle conseguenze. Un atteggiamento quest'ultimo, erede di una mentalità costruita nel corso delle generazioni a partire dalla guerra fredda, il cui perno era considerare lo stato russo come male da sconfiggere e la sua area di influenza da combattere con ogni mezzo, lecito o meno: classica impostazione di stampo atlantista per lungo tempo coltivata da Washington. L'incapacità da parte europea di lasciarsi alle spalle tutto questo è spia profonda del vuoto che la contraddistingue: un continente che ha perso ogni identità di potenza dal termine dell'ultima guerra mondiale senza sostituirlo con altro se non le direttive della guida da oltreoceano. Al punto tale che anche quando la stessa Washington intendesse modificare la rotta, i membri europei della Nato seguitano a seguire le vecchie direttive - come per antica abitudine che non riesce a cambiare - con risultati quindi del tutto inadeguati rispetto alle necessità.

In parole altre, da parte europea, un vuoto di identità colmato da una mentalità anacronistica che non consente di comprendere i grandi sviluppi globali che stanno velocemente trasformando il mondo. Se nel secolo XIX per "grande gioco" si intendeva la grande contesa tra impero britannico e quello zarista per il controllo dell'Asia centrale (considerata cuore del mondo), oggi si dovrebbe riformulare la cosa in un differente modo: i grandi intepreti sono stavolta gli Stati Uniti da una parte e la Repubblica Popolare Cinese dall'altra, mentre la Federazione Russa potrebbe costituire tra di essi l'ago della bilancia, avvicinandosi all'uno piuttosto che all'altro sul lungo periodo, nelle generazioni a venire. Da qui, l'importanza cruciale di un canale di comunicazione con essa.

Una visione di insieme lontana eppure già vicina, di indecifrabile complessità e portatrice di sviluppi oggi imponderabili, ma che può essere intravista nella prospettiva più lungimirante: purtroppo non quella di chi oggi invoca muri di acciaio lungo tutto il confine tra Europa orientale e Russia e preme per il proseguimento ad oltranza delle ostilità in Ucraina, tra l'altro senza riguardo per il potenziale disastro che incombe sulla stessa.

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