
Daniele Lanza
Tutti i notiziari dei giorni scorsi hanno già diffuso l'esito dell'ultimissima tappa dei colloqui di pace a Mosca (a pochissimi giorni da quelli ucraino-americani in Washington) e c'è veramente poco da aggiungere occorre dire: si tratta di una fase altamente delicata e riservata delle trattative, le indiscrezioni sono relativamente scarse, ma lo stile e le tempistiche suggeriscono l'andamento generale.
La delegazione ucraina capitanata da Umerov (dopo la destituzione di Yermak) ha passato 5 ore nelle stanze di Washington, quindi due giorni più tardi l'inviato americano Witkoff ne ha passate altrettante nella sala udienze del Cremlino davanti al presidente Putin: l'estesa durata dei colloqui di per sè sta ad indicare che gli americani si sono letteralmente consumati nel tentativo di convincere uno dei contendenti a cedere, dato che nella prospettiva presidenziale americana non importa chi dei due capitoli, basta che qualcuno lo faccia e che il conflitto si estingua immediatamente, lasciando che Donald Trump incassi il tanto agognato premio Nobel per la pace.
Questo ha significato che quando tutti gli sforzi per far accettare i propri punti alla delegazione ucraina sono falliti, allora si fa volare immediatamente Witkoff a Mosca, di modo che tentasse la medesima cosa di fronte al capo di stato russo (sperando forse che sarebbe stato lui a capitolare ?).
A occhio croce sembrerebbe una tattica fuori di ogni logica: se non si è riusciti a far cedere la parte debole (quella perdente, ossia ucraina), tantomeno è possibile riuscirci con quella vincente ovvero la Russia. Witkoff dal canto suo non appare impreparato quindi strano sembra che abbia accettato di farsi carico di una simile operazione, destinata al fallimento: il suo volo immediato per Mosca aveva dato da pensare a qualcuno che poteva esserci qualcosa sotto (non rivelato pubblicamente dai media), ma nulla di concreto può autorizzare ad affermarlo.
In realtà si può soltanto sperarlo: sperare che al di là della diplomazia ufficiale riportata dai media ve ne sia in opera un'altra - parallela, ma non pubblica - orientata verso la razionalità, perchè se così non è, cioè se per davvero Witkoff è stato mandato al Cremlino con l'intento sincero di risolvere la questione facendo desistere una potenza chiaramente vincente sul campo (dopo un conflitto su scala da 1° guerra mondiale, tuttora in corso) allora le perplessità diverrebbero inesprimibili.
Se le cose stanno come appaiono dai media - assumiamo sia così - allora emerge un solo interrogativo che sovrasta ogni altro: cosa passa per la mente della leadership ucraina in questo preciso momento ? Secondo quale schema ragionativo vengono programmate le mosse ? In ultima istanza, quale sarebbe la finalità ultima ? Si spera nel miracolo probabilmente oppure si fa conto su un aiuto esterno in fin dei conti, come avvenuto fino ad ora ?
Questa seconda ipotesi è la chiave di volta della questione ed ha natura quasi psicoanalitica a questo punto: nell'inconscio collettivo dell'elite politico/militare di Kiev è piantata indissolubilmente l'idea che in ogni caso, nella peggiore delle ipotesi, alla fine l'asse euro-atlantico non permetterà una capitolazione totale, un crollo del proprio stato. Non sarà permessa perchè un'Ucraina che collassa determminando una resa totale sarebbe un colpo oggettivamente non sostenibile da parte dell'occidente: ne deriverebbe una rivoluzione politica ai danni delle elite vigenti al momento attuale in seno all'Unione Europea e all'alleanza atlantica, poichè screditate dalla vicenda. Proprio su questo meccanismo punta la strategia di Kiev probabilmente
Cercando di ricapitolare: la sconfitta militare ucraina è ormai prevista ed accolta da Washington come male minore e quindi accettata - entro un certo limite - in quanto "pedina sacrificabile" nell'ambito del grande gioco. Per "grande gioco" si intende uno scenario che vede vincente la Russia sul campo localmente - nel settore ucraino - ma anche vincente Washington su un piano più globale, dal momento che hanno ripetutamente colpito la Russia costringendola ad un grande conflitto convenzionale ai propri confini, ottenendo sanzioni contro di essa da parte di gran parte del mondo industrializzato e soprattutto l'hanno separata a forza dall'Europa (principale obiettivo che si perseguiva sin dall'inizio). Nell'ottica USA tutto questo già di per sè rappresenta un successo strategico (sebbene inferiore a quello di una sconfitta russa sul campo in Ucraina come si sperava): secondo questa logica a questo punto è quindi perfettamente razionale ritirarsi dalle ostilità e domandarne la cessazione, dal momento che si è inflitto abbastanza danno alla Russia e in fondo quest'ultima - secondo il giudizio americano - non ha portato a casa molto (il 20% del territorio ucraino e non l'intero paese). Insomma, secondo il metro di valutazione statunitense di strategia globale è ancora Washington - al momento - ad aver portato a casa il vantaggio maggiore in termini assoluti.
Secondo tale visione delle cose, occorre fermarsi adesso - subito - e capitalizzare la vittoria fintanto che il danno inflitto a Mosca è superiore ai guadagni che quest'ultima ha presumibilmente ottenuto fino ad oggi sul terreno: per metterla in altri termini, il giocatore di poker esperto sa quando è bene ritirarsi al fine di preservare quanto guadagnato in una serata fortunata, evitando ulteriori puntate azzardate capaci di azzerare tutto il bottino accumulato.
Se tuttavia la guerra va avanti e lo stato ucraino è oggetto di un collasso strutturale allora si rischia che esso perda non solo il 20% di territorio che ha già perduto oggi, bensì che sia oggetto di qualcosa di più grave come in caso di golpe interno a Kiev che destituisca la dirigenza ucraina attuale sostituendola con un'altra non più filoeuropea e filoatlantica: in tale caso l'intera Ucraina sarebbe perduta. Si tratterebbe di incassare un danno non sopportabile a seguito di un grande azzardo conclusosi in fallimento: ecco pertanto perchè conviene loro chiudere la guerra adesso e non tentare la sorte oltre.
Purtroppo naturale aspettarsi che la logica strategica e lo stile da gioco d'azzardo di Washington non siano allegramente condivise dalla leadership ucraina: questi ultimi si ritrovano come intrappolati in un gioco più grande di loro, entro il quale interpretano il ruolo di pedine sacrificabili (che ora possono essere abbandonate, una volta raggiunto lo scopo principale che era quello di danneggiare la Federazione Russa).
Cosa succede dunque adesso ? Succede che la leadership ucraina - accorgendosi di cosa sta avvenendo (ossia che l'amministrazione americana non ha più bisogno di loroe fa pressione per la soluzione negoziale) e nel tentativo disperato di modificare il trend in corso, che ne decreterebbe la fine politica - opta per l'unica mossa loro possibile: quella della resistenza passiva. Significa che di fronte a Washington le delegazioni ucraine tenderanno a rimanere come inerti e inamovibili, non dicono nè di no nè di sì: evitando di provocare l'ira di Trump con un diniego netto, ma al tempo stesso evitando accuratamente di cedere alle sue richieste. In pratica aspettando.
Tale "aspettare" è forse l'elemento più inquietante del conflitto, poichè si tratta di un'attesa forse finalizzata alla strategia più controversa ed azzardata mai emersa sinora: la giunta di Kiev aspetta che la situazione sul campo divenga ancora peggiore di come è al momento, che si arrivi all'orlo di quel collasso strutturale di cui si è parlato ovvero una sconfitta talmente grave e carica di conseguenza che non sarà accettabile all'asse euro-americano stesso e quindi ne determinerà la discesa in campo diretta. Controntuitivamente il possibile disastro ucraino sul campo potrebbe portare la salvezza, nel senso che costringerebbe giocoforza gli alleati occidentali a intervenire direttamente, o almeno questo è ciò di cui i vertici politico/militari di Kiev sono convinti: su questo si basa quello che probabilmente è l'azzardo più grande di tutti.
Un quadro distopico, ma anche l'unica spiegazione razionalmente possibile a questo punto: anche il leader più oltranzista del panorama politico ucraino si rende perfettamente conto (a dicembre del 2025) che la guerra può solo essere lentamente persa. Solo un intervento diretto dell'occidente potrebbe invertire la tendenza in teoria: ma come far intervenire direttamente gli alleati euro-americani dal momento che sono molto riluttanti ad essere coinvolti in una collisione militare diretta con Mosca ? Semplice: prospettargli una sconfitta talmente grave che nemmeno loro possano sopportare. Alla fine il tutto si gioca su questo: una perdita del 20% di territorio è accettabile per l'asse euro-americano (ma non per Kiev a giudicare da colloqui avvenuti sinora) mentre invece la perdita dell'intera Ucraina - in caso di crollo e cambio di regime - sarebbe inaccettabile tanto per Kiev quanto per l'asse euro-americano (seppur nel disastro generale, si verificherebbe una nuova unione di prospettive tra Kiev e i propri alleati che non potrebbero più abbandonarli).
Senza dubbio alcuno è estramemente difficile valutare un'ipotesi del calibro descritto: varrebbe a dire che le elite di governo ucraine non soltanto non hanno più il polso della realtà, ma sono anche disposte a correre rischi estremi pur di trascinare in una guerra convenzionale i propri alleati, nè interessa loro delle conseguenze potenziali di un confronto nucleare in Europa. Un'assenza di limiti e razionalità senza precedenti nella storia recente del continente e che dovrebbe portare chiunque a seria riflessione.