
Daniele Lanza
La Bulgaria non riesce a scegliere tra l'Europa e la propria identità.
Clamoroso, sebbene relativamente ignorato, il caso bulgaro degli ultimi giorni: alla vigilia di un passo storico che sancirebbe l'irreversibilità del percorso europeo del paese, si mette in moto una grande manifestazione di piazza - la maggiore dalla fine del comunismo oltre 30 anni orsono - che fa collassare il governo in carica.
Il passo di cui si parla è chiaramente l'introduzione della valuta unica eurocomunitaria (a partire dal 1 gennaio 2026), evento che - come ben si sa - renderà quasi indissolubile il legame socioeconomico del paese rispetto alla grande casa europea. Ora, malgrado non sussista un nesso preciso tra le due cose (nel senso che la protesta non riguarda direttamente l'ingresso nell'eurozona), è evidente che il paese è in fermento: innumerevoli i suoi nodi irrisolti le cui conseguenze ricadono sulle spalle della società (assai povera comparativamente agli standard europei) e come se non bastasse, ora si prospetta a breve una transizione verso l'ignoto di un sistema economico sicuramente non favorevole alla grande maggioranza della gente.
Iniziamo col dire che grande è la confusione - involontaria o premeditata - in merito all'evento in questione, malgrado la sua ampiezza: l'unica cosa realmente certa è che la settimana scorsa quasi 100'000 persone si sono riunite nella piazza centrale della capitale domandando al governo di rassegnare le dimissioni. Da qui in avanti, praticamente tutto diventa meno chiaro: i mass media occidentali (soprattutto europei) tendono a dare scarsa copertura al caso - volutamente evitato per le eventuali implicazioni antieuropee che potrebbe avere - e si entra in un labirinto di intepretazioni dal quale difficilmente si trova una verità.
Quanto certo è che i manifestanti riflettono la propria rabbia tanto contro temi generici come la corruzione e la mafia politica - ossia problemi costanti ed endemici del contesto bulgaro - quanto rivolgendosi al contesto più specifico del piano di bilancio per l'anno a venire: si urla davanti al parlamento, contro il governo Zhelyazkov (quest'ultimo costantemente in difficoltà al punto di dover domandare la fiducia per la quinta volta per poter procedere nel proprio mandato) che pure rappresenta il principale partito nazionale ovvero "Gerb", affiancato nella coalizione da altre forze come il partito socialista di Bulgaria e il partito nazionalista. Si nota come uno dei pomi della discordia sia la partnership tra le forze di governo e l'influente uomo d'affari Peevsky - rappresentato dal proprio partito "Nuovo inizio", che coi propri voti garantisce la maggioranza parlamentare - la cui visione del bilancio per l'anno non incontra il favore di larga parte della popolazione che teme di rimanerne impoverita. Una discordia che mette in seria difficoltà anche solo per trovare chi voglia farsi avanti: primo tra tutti l'attuale presidente - ex generale di aviazione e politico più popolare del paese - Radev, al quale tuttavia toccherebbe di dimettersi dall'incarico che ricopre al momento oltre che le perplessità di parte della società dovute alle sue vedute talvolta euroscettiche e non favorevoli al sostegno per l'Ucraina.
Come detto tuttavia, al di là di quanto accade in piazza esiste un'altra collisione di vedute ancor più profonda e sensibile ossia la corretta interpretazione da dare: quale carattere attribuire alla maggiore protesta di piazza sin dai tempi della fine della guerra fredda ? Manifestazione di un sentimento anti UE oppure al contrario di un sentimento anti tradizionale/sovranista (ovvero contro la persistenza di riflessi socialisti e antioccidentali nel modo di vita) ? Entrambe tali vedute sono sostenute dai rispettivi opinionisti e analisti che in questo modo non fanno che contribuire al clima di incertezza e divisione già presente nell'opinione pubblica.
A questo punto è tuttavia necessario sottolineare che il quadro che emerge anche soltanto da una parziale disamina delle contestazioni ha un che di emblematico nella misura in cui mette a nudo le radicali contraddizioni di un'intera società purtroppo: da un lato una larga parte dell'opinione pubblica bulgara applaude alla scelta di campo occidentale (europea) del paese, ma dall'altra parte, di fatto, non si sopporta l'idea della conseguenze che questo porterebbe nello stile di vita cui si è abituati. La narrazione filoeuropeista si focalizza sul raggiungimento di un tenore di vita assimilabile a quello euro-occidentale, prospettiva inevitabilmente accattivante che stimola l'immaginazione del pubblico medio, tuttavia senza sottolineare abbastanza che tale risultato (in primo luogo improbabile visto il livello oggettivo dell'economia bulgara) è possibile solamente traverso una piena applicazione di principi neoliberisti e quindi turbo-capitalisti, che finirebbero per arricchire una determinata fascia della popolazione - come sempre - scardinando invece il sistema di protezioni sociali vigente da sempre e quindi rendendo più difficile il modus vivendi della persona media. L'introduzione ormai improrogabile della valuta continentale europea riveste pertanto un significato rilevante anche se non diretto nelle proteste che si osservano: nel senso che sebbene non sia l'avvento dell'Euro il fattore scatenante, risulta d'altro canto chiaro che tale cambiamento faccia parte del più grande problema sopra descritto che scuote la società bulgara dalle sue fondamenta.
L'ondata inflazionistica e il drastico aumento del costo della vita che l'Euro ha portato con sè in tutte le economie meno potenti del continente (paesi mediterranei ad esempio) risulterà ancor più evidente in un contesto assai più disagiato in questo senso come la Bulgaria: non a caso la maggior parte dei sondaggi effettuati nel paese rivelano che una lieve - ma decisa, di poco inferiore al 60% - maggioranza degli interpellati nutre profondi dubbi su quella che in fondo è stata una decisione non esattamente democratica quanto esclusivamente politica (ovvero si è trattato di una decisione governativa senza coinvolgimento diretto della base sociale che non è stata chiamata ad esprimersi). In definitiva, pur tenendo in considerazione le sfumature intermedie emerse nei sondaggi di opinione, soltanto ¼ degli abitanti si è dichiarato favorevole ad un'adozione immediata, in tempi brevi della valuta comune europea al posto di quella nazionale (la maggior parte dei teoricamente favorevoli ritiene conveniente posporre il momento), mentre circa il 40% è contrario in assoluto a prescindere dalle tempistiche.
In ultima analisi quindi, il caso specifico dell'adozione della nuova valuta per quanto tecnicamente non la causa primaria dei disordini si può annoverare come un grande esempio della lacerazione che contraddistingue questa società, che ne mette allo scoperto la psicologia collettiva in questo momento di confronto coi nodi fondamentali del passato, presente e futuro. Da questo punto di vista si può dire anche che il caso bulgaro nel suo complesso, a sua volta, è effige di un dilemma che nel tempo ha riguardato una moltitudine di paesi differenti sui 5 continenti: l'interrogativo di fondo sempre il medesimo ovvero se accettare il "progresso" - concetto che invariabilmente si identifica nei i valori occidentali - e quindi un inserimento nelle sue strutture economiche di stampo liberale, oppure rimanerne fuori e quindi ancorati ad uno stile di vita più tradizionale. Chiaramente il modello liberal-capitalista è percepito (soprattutto dalle giovani generazioni) come maggiormente brillante ed auspicabile in opposizione a quello "tradizionale" che comparativamente appare come qualcosa di scialbo, modesto e privo di attrattiva: questo però senza rendersi conto del grave onere sociale che la civiltà liberista impone, il prezzo da pagare per adattarvisi, spesso sorvolato nell'immaginazione che tende a concentrarsi su alcuni aspetti e dimenticarne impropriamente altri (quelli meno piacevoli e più discordanti dall'immagine edulcorata che si intende proporre).
In altre parole - come tanto spesso avviene - si tratta non tanto di una competizione tra due modelli differenti quanto di un conflitto tra realtà ed illusione: quest'ultima è particolarmente coltivata dalla narrazione filoeuropeista che da ormai quasi 20 anni ha imposto la propria prospettiva delle cose nell'immaginario collettivo.
Alla radice di tutto dunque, un enigma antichissimo quello che tormenta la società bulgara: raggiungere ciò che si vorrebbe, ma senza doverne sostenere il grave peso connesso, o meglio cogliere i vantaggi di un progresso escludendone ogni effetto collaterale. In tale contesto, i media occidentali - in primissimo luogo europei - sono doppiamente inadeguati a illustrare la realtà: non soltanto perchè parteggiano apertamente per uno dei due modelli, ma soprattutto perchè nella loro tendenza ad oscurare - per evidenti ragioni di immagine - quanto sta accadendo a Sofia in questi giorni (e in precedenza), non rendono giustizia ad un interrogativo, si può dire esistenziale a questo punto, che tormenta ogni strato della società bulgara.