28/12/2025 strategic-culture.su  11min 🇮🇹 #300219

L'Italia chiamò, no !

Lorenzo Maria Pacini

L'Italia perde unità, anche sulle questioni relative ai simboli nazionali

Maestà, il popolo ha fame

Rimosso il "Sì" alla fine dell'inno di Mameli. Mentre il popolo ha fame e la guerra incombe, il Presidente della Repubblica non perde l'occasione di dimostrare la miseria politica del fu Belpaese.

Il governo ha vietato di urlare il famigerato "sì" alla fine dell'Inno nazionale, con tanto di decreto presidenziale.

La direttiva dello Stato Maggiore della Difesa del 2 dicembre, firmata su sollecitazione del capo dello Stato, impone che nelle occasioni militari istituzionali l'inno venga eseguito senza questa esclamazione finale.

La motivazione ufficiale richiama il rispetto del testo originale di Goffredo Mameli e dello spartito di Michele Novaro, come stabilito dalla legge del 2017.

Sul sito del Quirinale è stata adottata l'esecuzione del 1971 dove dopo "Siam pronti alla morte l'Italia chiamò" segue solo la musica. Si tratterebbe quindi, secondo i burocrati italici, di un ritorno filologico alla versione primigenia.

È curioso che ciò avvenga proprio adesso, quando vengono sfoderate le trombe di guerra proprio dagli uomini delle istituzioni, proprio quando si invoca il popolo ad armarsi e partire per combattere le guerre volute dai potenti contro il bene dei deboli.

È, in realtà, la sintomatica evidenza dell'epilogo della politica italiana. Un Paese in cui persino l'inno è divenuto obsoleto è testimonianza della obsolescenza delle sue istituzioni politiche, mummificate e ridotte ad un "sì" o un "no" rispetto agli ordini impartiti dall'occupante straniero.

E così nei libri di storia del futuro verrà ricordato che la fine del mondo, in Italia, cercarono di fermarla a suon di spartiti mutilati.

Cantiamo al padron massone

Quale significato racchiude l'Inno ? Come affermava Mazzini, «l'istituzione repubblicana è l'unica in grado di garantire tale avvenire» (La Giovine Italia, 1831). Goffredo Mameli, attraverso un inno dal carattere apertamente repubblicano, manifesta una convinta adesione a questa concezione istituzionale. Publio Cornelio Scipione detto "Africano", la Lega Lombarda, Francesco Ferrucci, Giovanni Battista Perasso, noto come "Balilla" - ovvero i modelli evocati da Mameli nella quarta strofa - rappresentano certamente esempi emblematici di resistenza contro lo straniero, ma assumono anche il valore simbolico di una tradizione repubblicana contrapposta al potere monarchico. Non a caso, tra le glorie dell'antica Roma celebrate con enfasi retorica, secondo il gusto dell'epoca, viene esaltata la figura del condottiero repubblicano Scipione Africano, e non quella di Giulio Cesare, di Augusto o di altri imperatori di rilievo.

Dal punto di vista strettamente estetico, l'inno di Mameli presenta evidenti fragilità, sia sul piano testuale sia in quello musicale, affidato alla composizione di Michele Novaro. Tuttavia, al di là delle sue carenze artistiche, Il Canto degli Italiani riesce costantemente a suscitare partecipazione emotiva e a generare un sentimento di orgoglio nazionale, fondato sull'appartenenza a una comunità storica condivisa e sull'esigenza di superare fratture e contrapposizioni. Di questa forza evocativa era pienamente consapevole Giuseppe Verdi, che nel 1864 lo inserì, insieme all'inno nazionale francese La Marseillaise (composta da Claude Joseph Rouget de Lisle) e all'inglese God Save the Queen (di autore anonimo), nel suo Inno delle Nazioni. Ancora oggi, a più di centocinquant'anni dalla sua composizione, l'inno di Mameli continua a colpire corde emotive profonde grazie alla schiettezza delle intenzioni, allo slancio giovanile e alla capacità di commuovere.

L'ideale fondamentale che animò il Risorgimento italiano fu, in ogni caso, la costruzione dell'unità nazionale. Dopo la dissoluzione dell'Impero Romano d'Occidente, la penisola era rimasta suddivisa in una moltitudine di Stati di diversa estensione e forza, talora fragili ed effimeri, talora solidi e longevi, ma quasi sempre impegnati nella tutela di interessi particolari o in conflitti interni che avevano progressivamente indebolito il senso di appartenenza nazionale. Questa frammentazione aveva inoltre favorito, se non addirittura sollecitato, le occupazioni straniere. Nel 1815, con la sconfitta di Napoleone I, il Congresso di Vienna sancì ufficialmente la divisione dell'Italia in nove Stati distinti.

Nella sua versione originaria, Il Canto degli Italiani si apriva con l'espressione «Evviva l'Italia», un esordio debole, segnato da un entusiasmo generico, sterile e retoricamente poco incisivo. Ben diverso fu invece l'impatto dell'espressione «fratelli d'Italia». Il termine "fratelli" è infatti quello con cui i massoni si riconoscono reciprocamente, poiché la fratellanza, insieme alla libertà e all'uguaglianza, costituisce il fondamento etico della Massoneria. In tal modo, l'inno assunse i tratti di un vero e proprio proclama esortativo, capace di scuotere le coscienze di destinatari ben definiti: i "fratelli" italiani del suo autore.

Talvolta l'inno è stato definito «la Marsigliese italiana», ma si tratta di un accostamento improprio. Non solo perché La Marseillaise è un canto di guerra concepito per infondere coraggio ai soldati francesi dell'Armata del Reno impegnati nella difesa della giovane repubblica rivoluzionaria, ma soprattutto perché utilizza il termine enfants - "figli" - e non quello di "fratelli". La distinzione è sostanziale: i figli sono collocati in un rapporto gerarchico rispetto a una figura genitoriale che li guida e li sovrasta, mentre la fratellanza implica un legame orizzontale, fondato sulla parità.

Il Canto degli Italiani è stato talvolta bollato come un inno blasfemo e antireligioso; tuttavia, anche una lettura sommaria del testo rivela la profonda spiritualità del suo autore. La terza strofa, in particolare, cuore simbolico dell'inno, sintetizza la duplice vocazione massonica e religiosa di Mameli. Il progetto d'azione dei liberi muratori è infatti quello di unirsi nell'amore reciproco per testimoniare al mondo che le vie di Dio sono l'unione e l'amore universale.

L'inno richiama inoltre la storia religiosa europea, con particolare riferimento ai movimenti pauperistici del XIII secolo. In quell'epoca si avvertiva un diffuso bisogno di riforma di un clero percepito come corrotto, irrigidito e distante dalle sofferenze delle masse, segnate da povertà, abbandono e desolazione. In questo nuovo clima spirituale, i poveri divennero "fratelli" bisognosi dell'aiuto di altri fratelli. Si trattò di una profonda rivoluzione interiore, con rilevanti conseguenze sociali, in cui la metafora della fratellanza possedeva la forza di abbattere le barriere sociali e di restituire dignità ai più umili. Il povero non era più visto come un maledetto o come il simbolo del male nel mondo, ma come l'"altro" inteso quale prossimo da soccorrere, non uno straniero bensì un fratello. In tale prospettiva, esperienze diverse come la cavalleria, il catarismo, Francesco d'Assisi e Pietro Valdo risultano particolarmente significative.

È significativo osservare come, sia nella Massoneria sia nei movimenti pauperistici medievali, i termini distintivi siano "fratello" e "sorella", e non parole come amico, camerata, compagno, socio o collega, più tipiche di relazioni politiche, economiche o utilitaristiche. La Massoneria affonda qui le sue radici più profonde, pur legandosi anche all'Illuminismo europeo del XVIII secolo. Si definiscono "fratelli" coloro che, nel nome della ragione illuminata, si propongono di combattere l'oscurantismo dell'ignoranza e della superstizione, sostenendosi reciprocamente in una forma di fratellanza morale e cosmopolita. In definitiva, l'obiettivo massonico è la diffusione dell'amore fraterno tra gli uomini, nel rispetto delle diverse fedi religiose, affinché la ricerca della verità e la fratellanza contribuiscano a unire l'umanità contro il fanatismo.

La fraternità massonica si configura come un autentico "vincolo mistico", una trasfigurazione del legame biologico in una relazione ideale e morale fondata sull'aiuto reciproco e sulla dedizione. Anche se nel mondo contemporaneo la figura del fratello naturale tende a perdere centralità, resta vivo il valore simbolico della fraternità come modello etico di relazione.

È significativo notare che, nei rapporti con il Male o con Satana, non si ricorre mai al termine "fratello", ma a quello di figlio-schiavo o di sottomesso. In tali contesti domina un rapporto di soggezione, mentre nella fratellanza, fondata sulla comune filiazione divina che libera anziché asservire, il rapporto è paritario. Da qui la distinzione simbolica tra figli delle Tenebre e figli della Luce.

Mameli fu un massone, non un ateo. Lo dimostrano i numerosi riferimenti religiosi e i richiami a Dio presenti nel suo inno. L'anticlericalismo massonico dell'Ottocento non va confuso con l'irreligiosità: esso aveva una chiara connotazione ideologico-politica, mirata alla fine del potere temporale dei papi e del dogmatismo oppressivo, non alla negazione del cristianesimo. Proprio l'identificazione cattolica tra guida spirituale e sovranità temporale del vescovo di Roma portò a considerare blasfemi gli obiettivi dei patrioti italiani. Non va dimenticato che, ancora oggi, seppur su un territorio ridotto, il papa è un monarca assoluto. Paradossalmente, la perdita del potere temporale ha rafforzato la sua autorevolezza morale e spirituale anche agli occhi dei non cattolici. In questo senso, il 20 settembre 1870, giorno della presa di Roma da parte dei bersaglieri del generale Alfonso La Marmora, anch'egli massone, può essere considerato una data significativa non solo per l'Italia, ma anche per la Chiesa cattolica, che dal punto di vista massonico veniva liberata in parte dal suo potere.

Esegesi breve di un inno

Dal 12 ottobre 1946 l'inno nazionale della Repubblica Italiana è il Canto degli Italiani, composto nell'autunno del 1847 dal giovane studente e patriota genovese Mameli e musicato a Torino da un altro genovese, Michele Novaro.

Nato in un contesto di forte entusiasmo patriottico che anticipava il conflitto contro l'Impero austriaco, l'inno è ricco di richiami storici al passato italiano.

L'inno, piaccia o non piaccia, nasceva come un canto per unire gli italiani, in vista dell'imposizione dell'unificazione su tutta la penisola. Il testo riassumeva in sé pezzi della storia dei popoli italici, vero esempio, bisogna riconoscerlo, di compendio di eventi significativi ed iconici.

L'Inno si apre con il riferimento a Publio Cornelio Scipione, detto l'Africano (253-183 a.C.). Fu il celebre generale romano che sconfisse i Cartaginesi guidati da Annibale nella battaglia di Zama del 202 a.C., evento decisivo che pose fine alla seconda guerra punica sancendo il trionfo di Roma. L'Italia, pronta a intraprendere la lotta per l'indipendenza dall'Austria, viene simbolicamente rappresentata mentre indossa l'elmo di Scipione, richiamando così il valore, il coraggio e la gloria militare dell'antica Roma.

Ecco dunque che "le porga la chioma", riferimento a un'usanza dell'antichità, secondo cui alle schiave venivano tagliati i capelli per distinguerle dalle donne libere, che li portavano lunghi. La dea Vittoria, tradizionalmente raffigurata con una folta chioma, è invitata a offrirla perché venga recisa, segno della sua sottomissione a Roma. Mameli esprime così la convinzione che la vittoria, nella futura insurrezione contro l'Austria, sarà inevitabilmente degli italiani, poiché tale è il destino stabilito.

La coorte, poi, era una formazione militare dell'esercito romano composta da circa seicento uomini, pari a un decimo di una legione. L'espressione "stringiamci a coorte" è dunque un invito a radunarsi compatto sotto le armi, a restare uniti e determinati, pronti anche al sacrificio estremo in nome della liberazione dal dominio straniero.

Si canta poi del "fonderci insieme" essendo divisi e non popolo (pure l'inno lo ammette!). Questi versi richiamano l'aspirazione a riunirsi sotto un solo vessillo, simbolo di una speranza comune e di ideali condivisi. Nel 1848 l'Italia era ancora frammentata in sette Stati distinti (Regno delle Due Sicilie, Stato Pontificio, Regno di Sardegna, Granducato di Toscana, Regno Lombardo-Veneto, Ducato di Parma e Ducato di Modena), condizione che ne aveva causato la debolezza e l'umiliazione storica agli occhi degli orchestratori inglesi e francesi.

Mameli, fervente seguace di Giuseppe Mazzini, riflette in questa strofa il progetto politico della Giovine Italia, fondato sull'unità nazionale come premessa per la nascita di una repubblica. L'espressione "per Dio" non è un'imprecazione, bensì un francesismo che va inteso come "attraverso Dio" o "con l'aiuto di Dio", concepito come garante della liberazione dei popoli oppressi.

V'è addirittura un verso che richiama dalle Alpi alla Sicilia, passando per Legnano, che rimanda alla battaglia di Legnano del 1176, in cui la Lega Lombarda, guidata da Alberto da Giussano, sconfisse l'imperatore Federico I Barbarossa. Tale vittoria costrinse l'imperatore a rinunciare alle sue ambizioni di dominio sulle città italiane, culminando nella pace di Costanza del 1183, con il riconoscimento delle autonomie comunali.

Il riferimento è alla strenua difesa della Repubblica di Firenze durante l'assedio imperiale del 1529-1530. Il capitano Francesco Ferrucci, ferito mortalmente, venne ucciso dal mercenario Fabrizio Maramaldo, il cui nome è passato alla storia come sinonimo di viltà. Le parole pronunciate da Ferrucci - "Tu uccidi un uomo morto" - divennero simbolo di dignità e coraggio di fronte alla sopraffazione.

Mameli richiama poi con le parole "I bimbi d'Italia": qui l'episodio leggendario del giovane Balilla, probabilmente identificabile con Giambattista Perasso, che il 5 dicembre 1746 lanciò una pietra contro un ufficiale straniero, dando avvio alla rivolta popolare che portò alla liberazione di Genova dal dominio austro-piemontese. Non manca anche il riferimento ai Vespri che squillano, richiamando i Vespri Siciliani, l'insurrezione scoppiata il 31 marzo 1282, all'ora dei vespri del lunedì di Pasqua, contro il dominio angioino. Il suono delle campane chiamò il popolo di Palermo alla ribellione, segnando l'inizio della rivolta.

Infine, il riferimento agli Asburgo e all'Europa centrale. L'Austria degli Asburgo (di cui l'aquila bicipite era il simbolo imperiale) era in declino (le spade vendute sono le truppe mercenarie di cui erano piene le file dell'esercito imperiale) e Mameli chiama un'ultima volta a raccolta le genti italiche per dare il colpo di grazia alla dominazione austriaca con un parallelismo con la Polonia. Tra il 1772 e il 1795, l'Impero austro-ungarico, assieme alla Russia (il "cosacco") aveva invaso la Polonia. Ma il sangue dei due popoli oppressi, l'italiano e il polacco, può trasformarsi in veleno attraverso la sollevazione contro l'oppressore straniero.

Il "Sì" aggiunto da Novaronon era nel testo originale di Mameli, ma fu un'aggiunta musicale e retorica per rafforzare il "grido di guerra", simboleggiare l'adesione convinta e l'unità del popolo di fronte alla chiamata patriottica.

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